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V
Laurence Vanay
Vangelis
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La compositrice francese Laurence Vanay, nome d'arte di Jacqueline Thibault (moglie del produttore Laurent Thibault) ha realizzato dischi interessanti, anche se a lungo dimenticati. Talentuosa pianista portata per l'improvvisazione, dopo gli studi al conservatorio di Parigi sceglie la musica pop, anche per i pregiudizi riscontrati in quella sede verso le donne. Alla fine del 1973 registra il materiale del suo primo album, "Galaxies" (![]() |
"Galaxies" |
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Noto soprattutto come compositore per il cinema, il tastierista greco Vangelis (nato nel 1943 come Evangelos Odysseas Papathanassiou) ha diversi punti di contatto con il progressive. Trasferito in Francia dopo il golpe dei colonnelli, fa parte degli Aphrodite's Child insieme a Demis Roussos e Loukas Sideras, firmando singoli di successo come "It's Five O'Clock" e "Rain and Tears", ma già nell'ultimo album del gruppo, l'esoterico "666" (1972), sperimenta suggestioni che approfondirà più avanti. Fin dal 1970, con "Sex Power", firma colonne sonore per il cinema, ma dimostra una vena irrequieta, come nel curioso "Fais que ton rêve soit plus long que la nuit", sempre del 1972: è una sorta di poema sonoro che documenta il '68 francese tra voci, slogan e canti di strada assemblati in un suggestivo collage. Pubblica quindi "Earth" (1973): affiancato dal chitarrista Argiris Kolouris e dal cantante e bassista Robert Fitoussi, Vangelis si destreggia tra momenti etnico-esotici ("We were All Uprooted" e "Sunny Earth") con forti influenze della tradizione indiana ("He-O"), e largo uso di mellotron, percussioni e voci corali ("Ritual"). In altri brani prevale invece un pop-rock melodico caratterizzato dalla voce solista di Fitoussi, ad esempio nella vivace apertura di "Come On" e nella più evocativa "My Face in the Rain". Un discreto disco, ma solo nel successivo "Heaven and Hell" (1975)![]() ![]() |
"Albedo 0.39" |
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Formazione francese titolare di un solo disco. Dietro c'è il nizzardo Jean-Pierre Massiera, personaggio poliedrico del rock transalpino, musicista e produttore attivo fin dagli anni Sessanta. All'inizio del nuovo decennio fiuta l'aria e concepisce un progetto in stile progressive, che mescoli le nuove sonorità con liriche di tipo fantascientifico allora molto in voga. Mette insieme un gruppo di base, che via via si allarga fino a comprendere oltre quindici musicisti: tra loro i fratelli Francis e Didier Lockwood, il chitarrista Bernard Torelli, il bassista Marc Rolland e diversi tastieristi tra cui Jean-Pierre Stretti. Le parti vocali sono affidate principalmente a Gerard Brent e Marc Attali, con lo stesso Massiera coinvolto nelle parti corali. Il risultato di questo variopinto ensemble e di laboriose sedute d'incisione è un album intitolato semplicemente "Visitors", realizzato nel settembre 1974. Dopo l'attacco di sicuro effetto del "Dies Irae" (brano molto di moda in quegli anni, ripreso anche dalla Formula 3), il disco procede tra alti e bassi mescolando hard-rock e atmosfere misteriose ("L'extra-aventure de Villas-Boas"), oltre a buffi proclami extraterrestri ("Terre-Larbour"), con largo uso di sintetizzatori ed effetti speciali. Nonostante il discreto livello dei musicisti, l'album suona piuttosto datato, e a salvarlo è soprattutto il talento di Didier Lockwood, che con il suo violino arricchisce di spessore almeno un paio di episodi: "Nous" soprattutto, con i suoi vivaci toni fusion, e la stessa title-track. Discreta è anche la chiusura di "Le retour des dieux", all'insegna di un rock martellante e drammatico, con un lungo crescendo corale. CD Musea. |
"Visitors" |
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E' un altro supergruppo italiano, formato da ottimi strumentisti, a cominciare da Alberto Radius e Gabriele Lorenzi (già insieme come Formula 3), più Mario Lavezzi, Gianni Dall'Aglio, Vince Tempera e Bob Callero (ex Osage Tribe e Duello Madre). Con la produzione e i testi di Mogol il sestetto incide nel 1974 il primo album omonimo, realizzato per la Numero Uno come il successivo. Nonostante le buone premesse, però, è un disco solo in parte all'altezza delle aspettative e della fama dei singoli partecipanti al progetto. A parte pochi intermezzi ("La canzone del nostro tempo", con il brioso piano elettrico di Tempera in evidenza), la musica proposta rimane decisamente nell'ambito della canzone pop ("Il canto della preistoria" ad esempio, poi incisa anche da Bruno Lauzi), sia pure valorizzata da una confezione ariosa ed elegante. Lo schema più tipico è la partenza in sordina sul canto sommesso di Lavezzi, e il tema che si evolve poi lento e avvolgente, a volte con brusche impennate della chitarra solista di Radius, ma senza mai strafare dal punto di vista strumentale. Nella conclusiva "Sinfonia delle scarpe da tennis" i due tastieristi danno libero sfogo al loro estro, tra l'organo solenne in apertura e quindi il pianoforte che sale in cattedra nel gioco tumultuoso delle percussioni, fino alla coda di clavicembalo. Solo con il seguente "Essere o non essere?" (1975)![]() |
"Essere o non essere?" |
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