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Di questa band misteriosa che si richiama al grande scrittore americano, e soprattutto dei suoi componenti, non si è saputo praticamente niente per anni. Oggi sappiamo invece che dietro questo nome c'erano Giorgio Foti (tastiere/voce), Beppe Ronco (chitarra/mandolino) e Lello Foti (batteria), cioè un trio di Ornago (Milano) che affonda le sue remote origini in un complessino Beat di adolescenti chiamato Angelo e gli Spacemen, che per anni si dedicano a suonare covers di hard rock. Solo nel 1970 viene scelta la sigla E.A. Poe, e al trio di base si aggiunge il bassista Marco Maggi, coinvolto nell'incisione del loro unico album realizzato per l'etichetta Kansas. "Generazioni - Storia di sempre" , registrato nel 1974 ma distribuito probabilmente all'inizio dell'anno seguente, ci offre infatti un tipico quartetto che rivela nei sette episodi una vena variegata, apprezzabile soprattutto per la freschezza e il piglio della proposta, anche se il dosaggio a tratti suona ancora acerbo. Sono generalmente brani nervosi e dinamici, dominati dalle tastiere di Foti, ma con vivaci spunti della chitarra di Ronco a supporto, come nella stessa title-track, ma soprattutto in episodi come "Considerazioni" e "Alla ricerca di una dimensione", sicuramente tra i picchi del disco. Nella sequenza non mancano neppure interessanti spunti vagamente jazz, come nell'iniziale "Prologo", un brano costruito intorno al basso di Maggi. Tutt'altro che banali le liriche di stampo generazionale, come si deduce dal titolo stesso del disco, dal tono acido e spesso apertamente polemico ("Ad un vecchio"), sebbene le parti vocali del tastierista non risultino sempre convincenti. Qua e là affiora anche qualche melodia acustica di stampo più intimista, con testi e atmosfere dal forte sapore vissuto, ad esempio "La ballata del cane infelice" e quindi la più sofferta "Per un'anima". In sostanza, sebbene non privo di ingenuità e piccole sbavature tipiche di ogni opera prima, il solo album uscito a nome dei lombardi, riedito in vinile e in CD da Vinyl Magic/BTF, è sicuramente da ascoltare perché ha dei momenti intensi che catturano l'attenzione. Le ultime tracce della band sono legate a un 45 giri del 1976, stavolta firmato col nome esteso Edgar Allan Poe, che sviluppa il tema musicale di un film celebre come "Lo squalo": si tratta di "Jaws- Main title"/"Jaws- End title", pubblicato per l'etichetta Shark. |
"Generazioni-Storia di sempre" |
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Formazione olandese nata nel 1968 a L'Aja ad opera dei due fratelli Chris e Gerard Koerts (chitarre e tastiere rispettivamente), e caratterizzata dalla distintiva voce femminile di Jerney Kaagman. All'album di debutto omonimo (1969), segue quindi "Songs of Marching Children"(1971), con l'organico a cinque (chitarra, tastiere, basso, batteria e voce solista): è un buon esempio di pop sinfonico, in bilico tra brevi composizioni melodiche dominate dal flauto e dalla voce femminile ("Ebbtide") e placidi strumentali con chitarra e organo protagonisti ("In the Mountains"). Spicca soprattutto la lunga suite del titolo, ben distribuita tra solenni parti di mellotron e ritmi marziali. Più rifinito, forse più consapevole, è il successivo "Atlantis"(1973)![]() |
"Atlantis" |
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Nato nel 1940 a Johannesburg, in Sudafrica, il tastierista Manfred Mann (all'anagrafe Manfred Sepse Lubowitz), si trasferisce in Inghilterra nel 1961, e con la sua band incide singoli di successo come "Do Wah Diddy Diddy" e "If You Gotta Go, Go Now" (di Bob Dylan). Nel 1969 vira verso il jazz-rock con i Manfred Mann Chapter Tree e il cantante Mike Hugg: escono due buoni album per la Vertigo, poi il gruppo si sfalda e Mann fonda la Earth Band nel 1971. Lo stile è un rock-prog venato di blues, come si nota nell'esordio omonimo (1972): dieci tracce ben suonate da un quartetto affiatato, col tastierista che si destreggia tra organo e synth. Metà sono covers, come "Living Without You" (Randy Newman) o "Please Mrs Henry" (Dylan), fino al blues "Captain Bobby Stout", mentre tra i pezzi firmati da Mann spiccano lo strumentale "Tribute", molto atmosferico, e il rock incalzante di "Prayer", guidato dalla chitarra di Mick Rogers. Il successivo "Glorified Magnified (ancora '72) offre un'altra cover da Dylan ("It's All Over Now, Baby Blue"), ma soprattutto brani originali: belle "I'm Gonna Have You All", l'esperimento elettronico della title-track, e un paio di pezzi dove Mick Rogers fa valere la sua chitarra, come "Our Friend George". Il periodo migliore inizia con l'album "Messin'" del 1973. I brani si allungano e il suono si fa più corposo: spicca la title-track, un crescendo ad effetto tra synth e chitarra. "Cloudy Eyes" è un tema strumentale che Mann scrisse per un musical poi sfumato, mentre "Get You Rocks Off" è un'altra cover dylaniana in chiave rock, e "Buddah" una ballata su temi religiosi poi dirottata verso un vibrante rock chitarristico con vivaci inserti di synth. Il successivo "Solar Fire" (1973)![]() |
"Solar Fire" |
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Questa band ungherese si forma nel 1975 a Szeged, quasi al confine con la Serbia, ma solo all'inizio degli anni Ottanta trova uno sbocco discografico. Schierato a quintetto, il gruppo realizza "Játékok" (vale a dire "Giochi") nel 1981, proponendo una sorta di progressive sinfonico aggiornato nei suoni al nuovo decennio. Nel segno del valido tastierista Géza Pálvölgyi, si avvicendano così dieci brani in bilico tra spunti classicheggianti, un pizzico di space-rock e ambizioni più melodiche, con il canto trasognato di Miklós Zareczky in primo piano. "Messze a felhõkkel" è un tipico esempio dello stile-East: synth in evidenza che culla morbidamente le parti vocali, contrappunto pulsante del basso e "calligrafico" inserto chitarristico di János Varga, con un'accelerazione ritmica solo nel finale. Neppure nelle pagine rock più incisive il gruppo eccede mai nei toni: è il caso di come "Szállj most fel" e poi di "Üzenet" ("Messaggio"), con il crescendo della voce solista in uno schema rock di bella tensione, o dello strumentale di chiusura "Remény", che conferma il valore tecnico della band magiara. Nel complesso, manca forse la zampata vincente, anche se il disco riceve una discreta accoglienza. E' però solo con il successivo "Hüség"![]() |
"Hüség" |
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Una singolare meteora del prog britannico, titolare di due dischi di valore assoluto e poi tradita dal miraggio del successo commerciale. A fondare la band nel 1968 è il geniale violinista e polistrumentista Dave Arbus insieme a Ron Caines (fiati e organo) e Jeoff Nicholson (chitarra/voce) tra gli altri: dopo un primo 45 giri, il quintetto realizza il suo primo album per la Deram nel 1969. S'intitola "Mercator Projected"![]() ![]() |
"Mercator Projected" |
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Formazione francese della prima ora, gli Eden Rose nascono a Marsiglia nel 1969: i fondatori sono Henri Garella (tastiere) e Christian Clairefond (basso), che in precedenza suonavano a supporto di noti cantanti francesi. Con l'aggiunta del batterista Michel Jullien realizzano proprio nel 1969 il singolo "Reinyet Number"/"Obsession", ma è solo con il successivo "Under the Sun"/"Travelling" (1970) che il gruppo prende forma: all'incisione partecipa infatti il chitarrista parigino Jean-Pierre Alarcen, che grazie a un'immediata alchimia con il trio diventa in breve tempo il quarto membro effettivo. Sempre nel 1970 per la Katema viene quindi pubblicato l'album "On the Way to Eden", che mostra la transizione tra le sonorità più sixties e la nuova dimensione progressive. Le otto tracce, tutte strumentali e firmate da Garella, dispiegano le classiche influenze dell'epoca con discreta tecnica e un buon amalgama tra i quattro, sia pure con risultati altalenanti. Le tastiere di Garella sono di gran lunga dominanti, secondo la formula portata in auge da virtuosi quali Brian Auger e simili, ma la chitarra solista di Alarcen aggiunge una nota più imprevedibile alla ricetta. Frizzante l'attacco della title-track, un motivo ben articolato tra pause e riprese, così come "Feeling in the Living" e soprattutto "Faster and Faster", episodi che si reggono sul grande lavoro congiunto di basso e batteria, con calibrati interventi chitarristici a integrare le fitte trame dell'organo. Anche se i brani erano stati pensati per un trio in funzione delle tastiere, bisogna dire che la chitarra si aggiunge discretamente allo schema, sia in senso solistico che ritmico. Alarcen mostra tutto il suo ragguardevole bagaglio tecnico soprattutto nella prima parte di "Obsession", e anche in "Travelling", un brano tiratissimo che nella versione a 45 giri diventerà la sigla di uno show televisivo dell'epoca. A volte si avverte un chiaro influsso di artisti più famosi: è soprattutto il caso della lenta "Sad Dream", dove la raffinata chitarra solista sa creare insieme a organo e pianoforte un'atmosfera malinconica molto prossima ai migliori Procol Harum di fine anni Sessanta. Se la chiusura di "Reinyet Number", sincopata e quasi jazz con le percussioni in evidenza, si lascia ascoltare volentieri, non può dirsi lo stesso per la stucchevole "Walking in the Sea", decisamente noiosa. Tra alti e bassi, l'unico album firmato Eden Rose lascia in fondo buone sensazioni, ma rimane lontano dal prog più ambizioso e maturo che gli stessi musicisti metteranno in campo con la nuova sigla Sandrose. Ristampe in CD con bonus-tracks a cura di Lion, Musea e Belle Antique, e di Guersenn in vinile. |
"On the Way to Eden"
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Altra emanazione di Canterbury, Egg è un trio che si evolve da una band come gli Uriel, formata nell'ambito scolastico londinese da Steve Hillage, Dave Stewart (tastiere) e Mont Campbell (basso e voce) con il batterista Clive Brooks. Nel 1969 incidono un album a nome Arzachel, e solo l'anno seguente, senza Hillage, il trio debutta come Egg nel disco omonimo pubblicato dalla Deram. Dietro l'umorismo dei titoli ("They laughed when I sat down at the piano"), la band inglese esprime una vena molto cerebrale incentrata sulle tastiere di Stewart, specie nell'ambiziosa "Symphony no. 2". In questa libera rielaborazione di spunti originali dovuti a Stravinsky e Grieg (ma il terzo movimento è inserito solo nella ristampa digitale) l'estro straripante del tastierista trova sponde eccellenti nel basso di Campbell e nella batteria di Brooks per articolare passaggi di ottima fattura, specie nel fluido "First movement", oltre alle più spigolose sonorità di "Blane". Improvvisazione e classicismo si fondono con bella personalità, senza i complessi e le approssimazioni di altri esperimenti simili: Bach è rivisitato in "Fugue in D minor", mentre "I will absorbed" e "While growing my hair" riescono a saldare il fraseggio jazzato del trio alla melodia attraverso la bella voce di Campbell. Notevole infine la tensione ritmica di "The song of McGillicudie the pusillanimous", con divagazioni organistiche piuttosto acide. Ben accolti dalla critica, nonostante le scarse vendite, i tre arrivano nel 1971 al secondo disco, "The Polite Force"(![]() |
"The Polite Force" |
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Formazione tedesca che prende corpo a Colonia nel 1970 e realizza due dischi di alto livello, oggi molto considerati tra gli appassionati del cosiddetto Krautrock, seppure di nessun successo all'epoca. Il primo è un omonimo (![]() |
"Eiliff"
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Il caso più rinomato, ma non il migliore, di contaminazione tra pop-rock e musica colta. Olandesi di Haarlem, gli Ekseption prendono corpo nel 1966 quando il virtuoso tastierista Rick van der Linden si unisce al trombettista Rein van den Broek e compagni, ma solo nel 1969 l'enorme successo del singolo "The 5th", rilettura della Quinta Sinfonia di Beethoven, traina in classifica il primo album omonimo uscito lo stesso anno. E' una sequenza strumentale che, tra lo scandalo dei puristi, adatta il repertorio classico in chiave pop, senza complessi: da Bach a De Falla, passando per Khatchaturian ("Sabre Dance") e Gershwin, Beethoven e Saint-Saens, il sestetto mescola con leggerezza spunti jazz, sinfonismi e fughe d'organo. Fanno eccezione "Dharma", frizzante cover dei Jethro Tull, e la sincopata "Little x plus", entrambe con il flauto di Rob Kruisman in evidenza, insieme alla tromba di Van den Broek. Il tastierista si destreggia abilmente tra piano e organo, come in "Air" (da Bach), ma oggi l'insieme suona datato, seppure gradevole. I dischi successivi sfruttano la formula con poche varianti: ad esempio il secondo,"Beggar Julia's Time Trip" (1970), è un concept solo parzialmente ispirato a Giulietta e Romeo, che introduce parti vocali per Michel van Dijk ("Julia" ad esempio) e l'attrice Linda van Dyck ("Prologue"). Tra gli autori rimaneggiati ci sono Albinoni (il celebre "Adagio"), Bach e Tchaikoskji, ma Van der Linden scrive anche pezzi come "Feelings", o la più varia "Pop Giant", mentre la duttile tromba di Van den Broek colora di morbido jazz le atmosfere classiche. Con il nuovo cantante Steve Allet, bravo in "Morning Rose" e nella più vigorosa "On Sunday they will kill the world" (da Rachmaninoff), gli olandesi realizzano lo stesso anno "Ekseption 3"(![]() |
"Ekseption 3" |
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Un'altra formazione tedesca, formata a Bonn nel 1969 da studenti universitari e musicisti che vantano tutti precedenti esperienze nel contesto del beat germanico. Reclutato dalla rinomata Brain, il quartetto realizza nel 1972 il suo primo e unico disco omonimo (![]() |
"Electric Sandwich" |
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Dietro la fantasiosa sigla si nasconde Andrea Centazzo (Udine, 1948), oggi conosciuto soprattutto come batterista e compositore, attivo sia in area free jazz che nell'ambito dell'avanguardia più radicale. Nel corso degli anni Settanta e anche oltre, in una parabola artistica di vasto respiro e piena di riconoscimenti, collabora con diversi artisti di statura internazionale, da Steve Lacy a Derek Bailey e John Zorn tra gli altri, e nel 1976 fonda l'etichetta discografica Ictus insieme alla moglie Carla Lugli. Dopo aver firmato alcuni dischi a suo nome (il primo è "Ictus", 1974), realizza finalmente un album con la sigla Elektriktus, vale a dire "Electronic Mind Waves" (![]() |
"Electronic Mind Waves"
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Gli Eloy, il cui nome è tratto dal racconto "The Time Machine" di H.G. Wells, sono tra i gruppi più noti e longevi del rock sinfonico tedesco. Si formano ad Hannover nel 1969, su iniziativa del chitarrista Frank Bornemann, vero perno della band germanica tra continui alti e bassi. L'esordio avviene nel 1971 con un disco omonimo che inaugura un percorso piuttosto alterno e disuguale nelle scelte stilistiche. Dopo una prima fase in chiave hard rock, infatti, le cose cambiano un poco in "Inside"(1973), pieno però di influenze diverse, non sempre digerite a dovere: si passa dalla lunga "Land of No Body", con le sue tonalità marcatamente dark, a pezzi come "Future City" che ricalca fin troppo le atmosfere dei Jethro Tull. Nella stessa scia si colloca anche il successivo "Floating"(1974). Con l'uscita di "Power and the Passion", un concept-album pubblicato nel 1975, sembra prendere corpo uno stile diverso: compaiono ad esempio timide tracce di space rock ("Love Over Six Centuries"), con la chitarra di Bornemann più elegante del solito ("Mutiny"), anche se l'ispirazione rimane ancora molto varia. Tuttavia è solo dopo un radicale cambio in organico, con l'arrivo di Klaus-Peter Matziol al basso e Detley Schmidtchen alle tastiere, oltre al batterista Jürgen Rosenthal (ex-Scorpions), che gli Eloy fanno un primo salto di qualità a partire dall'album "Dawn" (1976). Bilanciato a dovere tra un hard rock sempre più versatile (la minisuite "Between the Times"), e momenti più atmosferici ("The Sun-Song"), con gli archi che affiancano spesso le tastiere ("LOST!?" e poi "Gliding Into Light and Knowledge"), il disco fa da vero spartiacque nella lunga parabola del gruppo. L'apice è probabilmente l'acclamato "Ocean"(1977)![]() |
"Ocean" |
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Formati a Berlino nel 1970, gli Emtidi sono in pratica un duo che include Maik Hirschfeldt (flauto, chitarre, voce) e la canadese Dolly Holmes (voce e tastiere). Già lo stesso anno viene pubblicato il primo album omonimo dall'etichetta Thorofon: è un folk-rock alla maniera delle contemporanee esperienze inglesi o americane, con l'intreccio delle due voci s'una base musicale prettamente acustica. Come si nota nell'iniziale "Lookin' for People", o anche in "Long Long Journey", la voce femminile è limpida al punto giusto per impreziosire una sequenza che per altri versi non porta elementi di novità ad un genere allora molto in voga: sono canzoni gradevoli, ma poco originali. Nella breve "No Turn Back", cantata da Hirschfeldt, si avverte chiaramente l'influsso di Bob Dylan, mentre qualche sapore psichedelico affiora comunque nei momenti strumentali come "Yvonne's Dream", e poi soprattutto nel lungo atto finale di "Flutepiece", nel quale, come da titolo, il flauto di Hirschfeldt domina la scena insieme alla chitarra all'insegna di un folk psichedelico piuttosto acido. Decisamente più elaborato suona il successivo "Saat" (cioè "seme"), pubblicato nel 1972 dalla Pilz. A parte "Love the Rain" e la bella title-track, con le voci intrecciate sull'arpeggio acustico, il folk molto lineare dell'esordio cede il posto a un prog-folk trasognato e più corposo, grazie a una strumentazione che include anche le tastiere (Dolly Holmes) più chitarra elettrica e synth (Maik Hirschfeldt), oltre all'apporto esterno di basso e percussioni. Tra le sei tracce spiccano un paio di lunghi episodi dove il nuovo corso degli Emtidi si palesa più evidente, ma anche l'iniziale "Walkin' in the Park", cantata a due voci con l'apporto di piano e chitarra elettrica, e la breve "Träume", con la delicata voce femminile sullo sfondo sospeso delle tastiere, danno il segno del cambiamento. Dei due brani più estesi, "Touch the Sun" sviluppa un'atmosfera intrigante sulle tastiere, tra pieni e vuoti, finché le due voci intonano la loro melodia con l'aiuto del pianoforte e il synth aggiunge spezie psichedeliche al finale. "Die Reise", più composito e fin troppo tumultuoso, è invece l'unico pezzo cantato in lingua tedesca da Hirschfeldt, sostenuto all'inizio da organo e pianoforte, oltre che dai vocalizzi femminili, prima che synth e organo si prendano la scena insieme al flauto. Il disco è più interessante del primo e ha dei buoni momenti, tuttavia non appare sempre omogeneo e risolto. In seguito, il duo si trasferisce a Monaco dove continua a suonare, ma senza realizzare altri dischi. Varie le ristampe in circolazione, anche in vinile. |
"Saat" |
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Una delle tante formazioni dimenticate del progressive italiano, gli Eneide nascono a Padova nel 1970 con il nome Eneide Pop, poi accorciato. Il lungo oblio che ha circondato questa band composta da giovanissimi è dovuto al fatto che il loro unico album, registrato nel 1972 per conto della Trident, ha visto la luce in realtà solo nel 1990, un po' come avvenne per il Buon Vecchio Charlie. In ogni caso, il quintetto veneto propone nel disco "Uomini umili popoli liberi" dieci tracce di fattura discreta, con le trame dell'organo di Carlo Barnini che convivono agilmente con le chitarre di Adriano Pegoraro e Gianluigi Cavaliere, autore di musica e liriche: niente di straordinario, ma il disco si fa ascoltare comunque con un certo interesse e il livello tecnico non scade mai. Il brano più lungo, "Non voglio catene", è paradigmatico di un certo prog dell'epoca: il testo infatti lascia ampio spazio alle lunghe variazioni delle tastiere, con ripetuti spunti della chitarra solista. In realtà i momenti più pacati, quasi intimisti a volte, sono forse più convincenti, come le due parti di "Cantico alle stelle", costruite sulla chitarra acustica e il flauto: nella prima traccia, per entrare nel merito, si ascoltano inserti di contrabbasso (Romeo Pegoraro) e pirotecnici fraseggi d'organo intorno a una trasognata voce solista. Altrove si fa largo uso del moog, come nel brioso strumentale "Ecce Omo", o si pende verso una sorta di dark rock un poco di maniera, mitigato dalle sonorità vivaci del flauto, con parti vocali grintose ma un po' forzate: è il caso de "Il male", soprattutto. Più interessante la title-track, col flauto ficcante di Adriano Pegoraro in primo piano tra i robusti riff di chitarra e il cantato supportato dal coro, e quindi il corollario sognante di "Viaggio cosmico", che riprende il tema in chiave più rarefatta, con le sonorità di chitarra e contrabbasso a cullare il canto delicato. Nella stessa scia scorrono anche episodi interessanti quali "Un mondo nuovo" e quindi il malinconico "Canto della rassegnazione", su toni crepuscolari, a testimonianza che l'anima vera del gruppo padovano sta proprio in questa dimensione più introspettiva e lirica, capace di uscire da un certo rock dalle formule più ovvie. Si tratta di un album dignitoso, che regala buone sensazioni, ma con una produzione vera e propria alle spalle dei giovani componenti avrebbe potuto essere decisamente migliore. La ristampa in cd a cura della AMS include anche due bonus-tracks destinate ad un nuovo progetto discografico, "Il sogno di Oblomov", che non ha mai visto la luce. |
"Uomini umili popoli liberi" |
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Una band inglese ricordata soprattutto per un apprezzato album nei secondi Settanta. Seppure in netto ritardo sui modelli del rock progressivo sinfonico e romantico della prima ora, il gruppo che nel 1977 realizza "Garden Shed" (![]() |
"Garden Shed" |
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Come molti gruppi della scena teutonica del periodo, gli Epidaurus, formati a Bochum nel 1976, si muovono nella scia dei capiscuola inglesi del prog sinfonico, con l'aggiunta di una voce femminile delicata ma non eccelsa, come Christiane Wand, e anche qualche richiamo ai corrieri cosmici. Comunque sia, "Earthly Paradise", pubblicato nel 1977, è un disco che in cinque episodi rispetta i canoni del genere, con qualche piacevole sorpresa nello sviluppo dei temi strumentali. La presenza di ben due tastieristi (Gunter Henne e Gerd Linke) e l'assenza della chitarra, sbilancia il suono verso morbidi arrangiamenti dinamizzati però da un piglio ritmico che evita il pericolo di cadere in sonorità stucchevoli. Se le prime due tracce, "Actions and Reactions" e "Silas Marner", sfoderano un uso cospicuo di mellotron e synth a fare da cornice ideale alle sognanti armonie vocali della cantante, con apprezzabili spunti di flauto nel secondo brano, nei restanti episodi, interamente strumentali, si assiste a una formula più elaborata e vivace. "Wings of the Dove" ad esempio poggia s'una solida combinazione di organo e piano, ritmicamente sostenuti dalla batteria, con enfatiche variazioni del synth che riportano per successivi passaggi il pezzo al punto di partenza. "Mitternachtstraum", posta in coda all'album, è addirittura un'escursione spaziale che ricorda da vicino, e fin troppo, certe cose dei Tangerine Dream, mentre "Andas" mescola in maniera più personale suggestioni diverse: effetti elettronici e spunti di flauto si rincorrono in uno sviluppo di forte impronta ritmica, col basso di Heinz Kunert in buona evidenza, e il mellotron sempre di sfondo. In sostanza il disco è consigliato ai fans del prog sinfonico e romantico, anche se il gradevole risultato complessivo non nasconde qualche momento meno convincente. Scioltisi nel 1980, gli Epidaurus si sono poi riuniti per realizzare "... endangered" nel 1994. |
"Earthly Paradise" |
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Originari di Marburg, e oggi dimenticati, gli Epsilon sono una band anomala nell'ambito del krautrock. Formato nel 1970, il quartetto tedesco realizza un primo 45 giri lo stesso anno e quindi l'album omonimo (![]() |
"Epsilon" |
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È un gruppo minore che arriva dalla Sicilia (Palermo), e dopo due singoli come "Geraldine"/"Arabesque", che partecipa anche al Disco per l'Estate, e "Hold On"/"Campagne siciliane", entrambi usciti nel 1972, realizza l'anno seguente il suo unico album "Antologia" per la RCA. Con il nuovo flautista Angelo Giordano, che ha rilevato Gianni Garofalo, il terzetto palermitano (voce/chitarra/basso, batteria, flauto/sax) fa a meno delle tastiere e sfoggia perciò una vena piuttosto delicata, decisamente melodica, con liriche nella stessa scia. L'atmosfera generale del disco, che dura meno di mezz'ora ed è decisamente lontano dai complessi contenuti del rock progressivo più famoso, è naive ma non banale, contraddistinta da un lodevole tentativo di mescolare le radici mediterranee che affiorano in brani come "Idda", cantata in dialetto siciliano, e quindi "Statale 113", dove compare il tradizionale scacciapensieri, con momenti d'ispirazione più varia, mai troppo complessi nella scrittura. In realtà, "Padre mio", valorizzata dal flauto di Giordano, e la stessa "Geraldine", stavolta con la chitarra elettrica al proscenio insieme al falsetto vocale, suonano come due isole roccheggianti in un paesaggio sonoro per il resto sempre molto tranquillo e solare, con il flauto e le chitarre acustiche di Michele Seffer costantemente in primo piano, soprattutto negli episodi strumentali: è il caso dell'iniziale "Campagne siciliane" e poi di "Vento d'Africa", con spirali flautistiche e largo uso delle percussioni di Pippo Cataldo. In una sequenza prevalentemente strumentale, si fa notare il testo particolarmente amaro de "L'indifferenza", sulle realtà più marginali condannate all'oblio. La discreta attività live della band, presente tra l'altro al Davoli Pop, e poi a Villa Pamphili e Caracalla, fino al Pop Meeting del Piper nel 1974, non evita comunque lo scioglimento, nonostante ci fosse un secondo album già pronto che purtroppo non ha mai visto la luce. La brevità e la spiccata tendenza alla sintesi degli Era Di Acquario, quando imperavano invece suites sinfoniche e progetti concettuali molto più ponderosi, è oggi un punto a loro favore e li rende, se non altro, piacevoli all'ascolto. Il cantante e chitarrista Michele Seffer, scomparso nel 2006, oltre ad aver composto e arrangiato per diversi musicisti italiani, ha pure realizzato tre singoli con il gruppo Babylonia a metà degli anni Settanta. |
"Antologia" |
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Una delle band francesi più sottovalutate e invece davvero accattivante nella sua proposta musicale. Originari di Aix-en-Provence, si formano nel 1968 con il primo nome di Lemon Pie, su iniziativa del cantante Lionel Ledissez, tornato in Francia nel 1966 dopo aver vissuto in Messico. La band si evolve quindi suonando blues-rock, cambia la sigla in Ergo Sum e nel '71 il singolo "All's so comic" è incluso nell'album collettivo "Puissance 13+2" della Thélème, insieme a brani inediti di altre band, tra le quali i Magma. L'esordio in proprio del gruppo arriva alla fine dello stesso anno: "Mexico" (1971)![]() |
"Mexico" |
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Tedeschi originari di Helmstedt (Bassa Sassonia), dove si formano all'inizio del 1972 come trio, gli Erlkoenig prendono il nome dal famoso poema omonimo di Goethe, tradotto in italiano come "Il re degli elfi". Guidato dal tastierista Eckhardt Freynik, e stabilizzato col chitarrista Friedrich Krüger, il quartetto registra le sei tracce dell'album omonimo (1973) in un negozio di pianoforti a Brunswick: il disco fu poi autoprodotto in circa mille esemplari e venduto in gran parte durante i concerti. E' un album dalle molte influenze, come era tipico del Krautrock dei primi anni Settanta, e in verità non sempre calibrate a dovere, tuttavia non si può negare che nella sequenza il quartetto riesca a farsi valere in diversi momenti. Fin dall'attacco di "Erlkoenig Impression" l'organo di Freynik assume il comando delle operazioni ben affiancato dalla chitarra di Krüger, in un tessuto musicale piuttosto dinamico che include lunghi fraseggi, cambi di tempo e riprese che fanno emergere il classicismo del tastierista nelle parti di pianoforte. Di buona presa è la lunga "Thoughts", con le trame organistiche supportate dalla vivace sezione ritmica, il piano ancora incisivo, e una seconda parte più frastagliata e ricca di breaks, con la ficcante chitarra elettrica che sale in cattedra. Molto atmosferico è invece un brano come "Castrop-Rauxel", anche se le parti vocali del batterista Michael Brandes lasciano un po' a desiderare: l'organo trova comunque sonorità più evocative, ben affiancato dal pianoforte e dal basso. Proprio il basso di Günter Armbrecht apre "Blind Alley", tra i momenti più dinamici della sequenza: qui la chitarra solista di Krüger è protagonista con suoni distorti ad arte in lunghe tirate, mentre l'organo stavolta resta di sfondo e solo nel finale sale al proscenio. Se "Tomorrow" è ancora dominato da un organo quasi liturgico intorno al canto solista, con inserti percussivi quasi tribali nel mezzo e un pianoforte quasi barocco in aggiunta, l'epilogo di "Divertimento" è uno dei pezzi più curiosi: nella prima parte il pianoforte elegante di Freynik si destreggia benissimo tra richiami classici e morbido jazz, mentre il seguito si apre ai suoni rarefatti della chitarra in uno schema sospeso e imprevedibile. La registrazione non proprio impeccabile lascia in ombra purtroppo le raffinate combinazioni di piano e basso, poi affiancati dalla chitarra, ma l'insieme è sicuramente interessante. Il gruppo continuò a esibirsi dal vivo, ma si sciolse infine nel 1977. Le ristampe Garden Of Delights (CD) e Amber Soundroom (vinile) includono bonus-tracks. |
"Erlkoenig" |
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Nato come trio nel 1974, questo gruppo di Torino produce inizialmente due cassette e solo più tardi, stabilizzatosi come quartetto in seguito all'arrivo del chitarrista Mike Abate, realizza l'album "Siegfried, il drago e altre storie" (1976), autoprodotto in circa cinquecento esemplari. La band piemontese rivela una forte affinità per il rock favolistico e romantico, nutrito in questo caso di colte leggende medioevali rielaborate. Contrariamente ad altre esperienze consimili, però, i toni acustici e quasi naive, anche nelle liriche, prevalgono spesso sulle forzature barocche e gli arrangiamenti troppo magniloquenti. La musica è dominata dunque dalle chitarre acustiche di Abate, e dal pianoforte, il flauto e il violoncello di Marco Cimino, mentre le delicate parti vocali sono piuttosto gradevoli, anche se non sempre calibrate a dovere. Con tutte le incertezze di ogni opera prima, è un disco che sa offrire belle sensazioni e un risultato complessivo discreto. Quella di Cimino e compagni è infatti un'ispirazione elegante, trasognata ma insieme sufficientemente varia nel suo sviluppo, tra vigorosi cambi di tempo e improvvise aperture sulle tastiere che rifuggono il rischio di stilizzare eccessivamente il disegno sonoro. In particolare, l'intrigante minisuite in cinque tempi "Del Cavaliere Citadel e del drago della Foresta di Lucanor", nella sua dimensione largamente acustica, è davvero tipica di un certo immaginario medioevale, mentre le due parti di "Siegfried", Leggenda e Mito, sono caratterizzate da tonalità più epiche e soluzioni ad effetto, con la chitarra solista e la dinamica batteria di Guido Giovine in buona evidenza. Gli Errata Corrige meritavano insomma più fortuna, o almeno una prova d'appello, ma solo nel 1992 verrà pubblicato l'album postumo "Mappamondo", composto da registrazioni del periodo 1974-'77 che spaziano tra progressive, jazz-rock e pop commerciale. Allo scioglimento, il più attivo rimane Marco Cimino, prima con il gruppo Esagono ("Vicolo",1976), quindi con gli Arti & Mestieri e anche con Venegoni & Co. Ristampe su CD a cura di Vinyl Magic, con bonus-tracks aggiunte, e Mellow Records. |
"Siegfried, il drago e altre storie" |
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Una pregevole formazione belga, fondata nel 1971 a Bruxelles dal violinista Raymond Vincent (ex-Wallace Collection) insieme al tastierista Bruno Libert. Reclutati altri elementi, come i due fratelli Gino e Tony Malisan (di origine italiana), la band registra il 45 giri "Busy Doing Nothing / Gypsy" nel 1973, quindi si isola per realizzare il primo album. Pubblicato nel 1973 da A&M "Esperanto Rock Orchestra" è sicuramente un ambizioso esempio di musica trasversale, capace di abbinare rock melodico e musica da camera, sinfonismo e tocchi di fusion e psichedelia abilmente miscelati. Accanto alle voci femminili spesso in primo piano, spicca nelle trame il violino eclettico e sopra le righe di Vincent: ad esempio in "Gipsy" o nell'attacco della poliedrica "On Down the Road". Non mancano frizzanti rock di taglio americano ("Statue of Liberty") e brani senza confini, come "City", con l'organo di Libert, le voci corali e il violino sempre in grande spolvero. Un esordio brillante, ricchissimo di spunti, anche se forse non sempre calibrato a dovere. Il secondo disco della band è "Danse Macabre" (![]() |
"Danse Macabre" |
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Una delle più note formazioni argentine, gli Espíritu sono la diretta filiazione di un gruppo beat chiamato Onda Corta, fondato da Osvaldo Favrot (chitarra e voce) nel 1968. Nel 1973, dopo varie traversie, si opta infine per la nuova sigla e il quintetto realizza prima un singolo nel 1974 e quindi il primo ellepì, con l'arrivo alle tastiere di Gustavo Fedel. "Crisalida" (1975) è un concept-album circondato subito da molte aspettative dopo le prime e pirotecniche esibizioni live: consta di otto episodi dominati dal ricco parco-tastiere di Fedel, supportato però dall'estro di un chitarrista molto efficace come Favrot, in un insieme raffinato e molto melodico. Le delicate parti vocali di Fernando Bergè sono spesso affiancate dai cori, come nell'iniziale "La casa de la mente", secondo uno schema molto latino, a volte un poco stucchevole nello sviluppo dei singoli temi: ad esempio in "Sabios de vida", dove il rock e la melodia mancano di una convincente fusione. Il livello tecnico dei cinque è comunque molto buono, e il disco offre spunti notevoli, come il rock dissonante di "Eterna evidencia", dominato dal synth, o anche "Sueños blancos, ideas negras", dall'incedere rarefatto intervallato da improvvise accelerazioni. Buona anche la chiusura di "Hay un mundo luminoso", con la chitarra solista protagonista assieme alle tastiere e il fattivo apporto del bassista Claudio Martinez. A questo punto Fedel abbandona la band, rilevato dal tastierista Ciro Fogliatta: con lui gli Espíritu realizzano il secondo album, "Libre y natural" (1976)![]() |
"Libre y natural" |
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Prima di riciclarsi come autore di gradevoli atmosfere esotiche, il percussionista Antonio "Tony" Esposito (n.1950) è stato un vivace protagonista della scena alternativa italiana. Al suo attivo, oltre a moltissime collaborazioni con artisti del giro partenopeo quali Edoardo Bennato, Alan Sorrenti o Saint Just, e anche Pino Daniele più avanti, vanno ricordati almeno i primi due album da solista: "Rosso napoletano"(1974)![]() |
"Rosso Napoletano" |
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Un gruppo venezuelano, originario di Maracay, formato nel 1977 e responsabile di due soli dischi. Con un corposo organico di sette elementi, la band realizza il suo album d'esordio nel 1978: "Más allá de tu mente" (![]() |
"Más allá de tu mente" |
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Non sono che i Flea con una nuova sigla, che sembra voler rimarcare le origini siciliane della band. A parte tutto, questa volta il quartetto si propone nel 1975 con un album omonimo (![]() |
"Etna" |
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Dietro la sigla sgrammaticata ("stronzo pazzo illupobianco"), si cela una delle formazioni più originali dell'Avant Prog francese, nata a Grenoble nel 1973 su iniziativa del sassofonista/cantante (e attore) Chris Chanet, e poi organica al collettivo Rock In Opposition. Dopo qualche avvicendamento, la band registra nel 1976 un primo album pubblicato solo nel 1977, cioè "Batelages". Il trio, che include solo sax, batteria e basso, si destreggia tra liriche surreali e suoni decisamente alternativi. La lunghissima apertura di "L'amulette et le petit Rabbin" è un manifesto che nasce sulle corde acustiche di Ferdinand Richard, sviluppando una serie di atmosfere inclassificabili, col sax distorto di Chanet spesso protagonista, voci alterate, ritmiche oblique sul basso e percussioni saltellanti (Guigou Chenevier). L'effetto è dirompente, ma un po' frammentario: si segnalano però "Madame Richard-Larika", con chitarra e basso supportati dal sax s'una ritmica irregolare, tra spunti circensi e distorsioni, e l'epilogo di "Histoire de Graine", immerso in un'atmosfera malsana con sax e percussioni nei momenti più tesi. L'insieme suona come uno sberleffo al rock più celebrato. Chanet è poi rilevato da Francis Grand, e nel 1978 esce "Les Trois fous perdégagnent (Au pays des…)". E' un disco più strutturato, pur nel suo estremismo, a partire da "Face à l'extravagante montée des ascenceurs, nous resterons fidèles à notre calme détermination", con una propulsiva base ritmica e vibranti inserti del sax di Grand nello schema. Voci e testi restano sopra le righe (specie "Le désastreux voyage de piteux Python"), ma il produttore Jean-Pierre Grasset (Verto), che suona anche la chitarra, incanala a tratti la creatività del trio verso un suono meno caotico: ad esempio "Le fleuve et le manteau", con sprazzi di affilato jazz-rock, e poi "Recherche pour un journal, des lunettes, une pipe et un béret", minisuite dominata da sax e basso, più rumori e disturbi assortiti. Importante l'ossatura ritmica anche in "POI (pourissement des organes intérieurs)", mentre flauto e sax sono al centro della finale "Nave de Bilande". Dopo aver suonato nel 1978 al primo Festival del collettivo RIO a Londra, il gruppo parte l'anno dopo per un lungo tour americano documentato nel live "En public aux États-Unis d'Amérique" (1980). Nel disco di studio che segue, cioè "Les poumons gonflés" (1982)![]() |
"Les Poumons Gonflés"
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Poco si sa, ancora oggi, di questo misterioso gruppo francese originario di Limoges, capoluogo dell'ex Limosino e oggi Nuova Aquitania, responsabile di un solo e apprezzato album autoprodotto: si tratta di "Mandarine" (![]() |
"Mandarine" |
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Originari di Frauenfeld, capitale del cantone svizzero della Turgovia, gli Exit sono una band minore, responsabile di un solo album. I fondatori nel 1972 sono Andy Schmid (chitarra e armonica) e il batterista Kafi Kaufmann, e una volta stabilizzato come quartetto il gruppo comincia una serrata attività live, tra l'altro aprendo i concerti di nomi già noti del prog tedesco quali Birth Control e Jane. Soltanto nel 1975 viene quindi realizzato l'album omonimo, autoprodotto in circa trecentocinquanta esemplari, che naturalmente resta confinato nell'ambito locale. Il carattere privato del disco traspare anche dalla qualità non impeccabile della registrazione, a quanto pare effettuata su due sole piste, e per la verità anche dai limiti della proposta musicale. Tecnicamente i quattro musicisti non sono male, e mostrano un certo brio, ma scontano un'elaborazione semplicistica dei temi, anche quando ci sarebbero le premesse migliori: è come se la loro musica fosse ancora legata al decennio precedente, senza aver assimilato quanto il prog maggiore dell'epoca stava proponendo. Nel dettaglio, l'iniziale "Paradise" è costruita s'un riff petulante di chitarra subito affiancato dall'organo di Roman Poitoil, che si prodiga molto anche al sintetizzatore, mentre la voce di Schmid, a tratti supportata dal coro, non è sicuramente esaltante: c'è ritmo e grinta, ma l'insieme suona poco eccitante. "Balade of Live" (inglese maccheronico per "Ballad of Life"?), aperta dal verso dei gabbiani in un'atmosfera marina, si articola ancora sull'organo e sul canto trasognato in lingua inglese, con evidenti richiami ai Pink Floyd del periodo psichedelico: le variazioni tastieristiche, col synth ancora in evidenza, costruiscono l'ossatura del pezzo insieme ai modesti soli chitarristici di Schmid. Poitoil dimostra almeno una certa verve nel fraseggio all'organo, specie in "Talk Around", ma il brano, seppure ricco di spazi improvvisativi e con l'armonica a bocca in primo piano, si dilunga fin troppo senza grande fantasia. La chiusura di "Bad Gossip", più assorta nel suo lento incedere sulle note della chitarra solista, non modifica il valore complessivo di una sequenza che resta decisamente mediocre. Dopo l'album il gruppo rimase attivo fino al 1979, e Schmid e Kaufmann si dettero ancora da fare, ma senza risultati. Più avanti, il chitarrista morì durante un concerto tenuto in Egitto, nel 2001. Ristampa in CD della spagnola Picar. |
"Exit" |
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Gruppo tedesco che si forma nell'area di Stoccarda nel 1970. In realtà il primo nome è Magma, poi cambiato in Exmagma dopo aver scoperto l'esistenza della band francese omonima. I fondatori sono Andy Goldner (basso/chitarra/fiati) e Thomas Balluff (tastiere), entrambi reduci da varie esperienze in piccole band locali. Nel 1972 l'ingresso del batterista Fred Braceful, americano di Detroit arrivato in Germania nei tardi anni Cinquanta come militare, e con varie collaborazioni alle spalle (incluso il gruppo Et Cetera), completa il terzetto che realizzerà i due album più noti. Dopo numerosi concerti in patria, ma anche in Olanda, Belgio e Francia, gli Exmagma realizzano il primo album omonimo con l'etichetta Neusi nel 1973. Cinque tracce decisamente al di fuori di ogni formula, interamente improvvisate e prive di parti vocali, con il trio che esplora nuove sonorità: dalla suggestiva apertura di "First Tune", ipnotica fantasia per organo, basso e batteria con effetti sovraincisi, alla lunga "Trippin With Birds/Kudu/Horny", registrata live in studio, che occupava tutta la seconda facciata con la sua ricetta ancora più informale, nella quale si distinguono synth, piano elettrico, percussioni e sax oltre a svariati effetti elettronici. E' musica sperimentale, a volte rarefatta fino al silenzio ("Tönjès Dream Interruption"), oppure prossima al linguaggio della fusion, come "Interessante Olé", con basso e organo in evidenza. Un esordio molto personale, che davvero poco o niente concede al pubblico del rock. La band si trasferisce quindi in Francia, suonando intensamente dal vivo e maturando il secondo album, "Goldball" (1974)![]() |
"Goldball" |
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Esponenti minori del prog italiano, gli Exploit nascono a Roma sul finire degli anni Sessanta in una formazione a cinque. Presto però il chitarrista Piero Stano rimane l'unico superstite della prima fase all'interno di un nuovo quartetto che include il giovane tastierista Carlo Crivelli (classe 1953). Il gruppo suona per un periodo con il cantante melodico Bruno Filippini, noto a metà decennio per singoli come "Sabato sera" e "L'amore ha i tuoi occhi", di buon riscontro anche in Spagna e Sud America. Quando Stano lascia per il servizio militare viene a formarsi un trio che, oltre a Crivelli, include il bassista e cantante Enzo Cutuli e il batterista Aldo Pignanelli. Messi sotto contratto dalla CGO, i tre realizzano un paio di 45 giri: prima "Il campanile della cattedrale"/"Giochiamo insieme" (1971), seguito l'anno dopo da "L'anima nuda"/"La tua pelle scotta", tutti brani inseriti nell'album "Crisi", pubblicato nel 1972. Il disco è diviso in due parti nettamente distinte per stile e contenuti: se nella seconda trovano posto sei canzoni pop, la prima è invece occupata dalla lunga suite omonima in tre segmenti, per un totale di oltre venti minuti. Il primo tempo, "Speranza", si apre sulle cupe tonalità dell'organo, che poi sviluppa vivaci combinazioni con il basso molto creativo e melodico di Cutuli: col dinamico apporto del batterista Pignanelli, il gruppo riecheggia atmosfere tipiche di altre formazioni triangolari del periodo, E.L.P. in testa, e Crivelli si destreggia con apprezzabile disinvoltura tra organo e pianoforte, mentre il bassista interpreta liriche in lingua inglese. Sviluppato su basso e clavicembalo, il secondo segmento che intitola l'album è cantato in italiano tra digressioni tastieristiche in una chiave di rock barocco che richiama Le Orme di "Collage", mentre la terza parte, "Pazzia", con parti vocali ancora in inglese, si apre con un lungo assolo di batteria, finché tornano in cattedra organo e clavicembalo: il piglio è più brioso e mordente, pieno di fratture ritmiche, tra pause e riprese guidate dall'estro pirotecnico di Crivelli. Tutto cambia con i sei brani che completano l'album, improntati a un pop-rock non certo esaltante. Il migliore è "Anche se ho sbagliato", con l'organo affiancato da una bella chitarra distorta sotto la voce grintosa, come pure succede ne "L'anima nuda", stavolta con voci corali e il ritmo che s'impenna insieme alla chitarra, ma il resto è mediocre. La band si scioglie dopo un altro 45 giri del 1973, quando Cutuli parte militare, e "Crisi" resta emblematico di una stagione musicale ricca sia di fermenti innovativi che di contraddizioni e compromessi con la discografia dell'epoca. Carlo Crivelli si afferma poi a livello internazionale come compositore di colonne sonore, tra l'altro per molti film di Marco Bellocchio: da "Diavolo in corpo" fino a "La Balia" e "Vincere". Ristampe di Mellow Records (CD) e Sonor Music Editions (vinile). |
"Crisi" |
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