Questo gruppo di Orvieto (l' "antica città della rocca" appunto) è arrivato al quarto album della sua parabola, iniziata nel 2009: è una tappa importante, che però si accompagna, tristemente, alla scomparsa precoce del batterista Michele Capriolo dopo aver ultimato il disco, già pronto nell'Agosto del 2021 e solo adesso pubblicato a causa dei noti problemi legati alla pandemia. Il chitarrista/bassista Raffaele Spanetta e la cantante/tastierista Cinzia Catalucci, suoi compagni di viaggio fin dall'inizio, hanno giustamente voluto dedicare alla memoria del batterista e amico questo nuovo lavoro, l'ultimo suonato insieme.
"Y" (Ipsilon) è comunque una sequenza di undici tracce che sembra definire un primo punto di arrivo nella ricerca di uno stile, costruito con paziente dedizione: colpisce subito la scelta di esprimersi in brani piuttosto brevi, lasciando da parte le tipiche prolissità virtuosistiche che infestano molto prog odierno, in favore di un linguaggio che invece punta a valorizzare il buon amalgama tra le parti attraverso un'eclettica forma-canzone ricca di sfumature, mai banale. I punti di forza del trio sono anzitutto la vibrante voce solista di Catalucci, dal timbro piuttosto duttile e penetrante, in grado di restituire con grande personalità le atmosfere dei singoli pezzi, ma anche la capacità di scrivere canzoni rock a largo raggio, appunto, senza schematismi di sorta, fino a raggiungere una lodevole sintesi tra i testi in lingua inglese e la parte strumentale. La sintesi in musica è una qualità sempre rara, ma a mio avviso è il modo migliore per far risaltare, quando c'è, il talento compositivo di un artista: insomma, meno fuffa per fare minutaggio, come succede ahimé in troppi dischi, e più musica suonata con intelligenza. In questa direzione, la band orvietana ha lavorato bene, e i risultati si vedono.
Guidata dall'idea di fondo di un dualismo tra bene e male che alberga in tutti gli uomini, si dipana così una serie di momenti davvero godibili: ad esempio "Gypsy Prediction", con le sonorità intriganti della tastiere in evidenza, come la voce solista e il basso. Senza punti deboli, la musica fluisce con ammirevole freschezza da un brano all'altro, anche se a ben vedere ogni segmento conserva una sua identità. "Preacher", ad esempio, ha un tono più drammatico e insieme accorato, quasi come un gospel che l'organo sa esaltare insieme al canto, sempre adeguato al contesto. In "Take My Hand", articolata sull'attacco cadenzato del piano, sale al proscenio la chitarra solista di Spanetta in un momento di grande intensità strumentale, mentre "Stranger" è una classica rock-song che inizia in sordina e prende corpo poi sulla voce e un refrain vincente, sempre sviluppato sul pianoforte. Una breve intro chitarristica apre invece la nervosa "No Way", ben scandita dalla batteria di Capriolo, in una successione mordente di pause e riprese del tema. Tra i vertici della sequenza vanno citati prima "Daimon", con la splendida voce di Catalucci protagonista assoluta sulla base di un organo dal giro ipnotico, e quindi un altro rock dal piglio trascinante come "The Magic Pathways", dove la chitarra e un organo dal timbro drammatico, quasi psichedelico a tratti, lasciano davvero il segno: molto bello.
Il disco si chiude degnamente con "We'll Be One", ancora per piano e voce, con la ritmica pulsante tra pieni e vuoti, fino al pacato scioglimento della serrata dialettica che domina il progetto, nelle liriche e nei suoni. "Y" è indubbiamente un bel disco, anche se ha bisogno di tempo per svelarsi fino in fondo: non è affatto un lavoro facile come può apparire ad un primo ascolto distratto, ma le sue qualità affiorano alla distanza come in un mosaico composto di tessere cangianti, assemblate con gusto e intelligenza. Questo per dire, in conclusione, come sia davvero auspicabile che il viaggio musicale della Old Rock City Orchestra possa continuare, nonostante tutto, perché di certo qui ci sono le premesse per fare ancora grandi cose.
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