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Lazuli - "11" (L'Abeille Rôde, 2023)


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       Tracklist

01. Sillonner des océans de vinyles (5:03)
02. Triste carnaval (5:03)
03. Qui d'autre que l'autre (4:36)
04. Égoïne (5:22)
05. Lagune grise (5:21)
06. Parlons du temps (5:05)
07. Le pleureur sous la pluie (5:04)
08. Les mots désuets (3:09)
09. La bétaillère (4:05)
10. Mille rêves hors de leur cage (6:20)
11. Le grand vide (5:11)

      Durata complessiva: 54:19

L'undicesimo disco di studio dei francesi Lazuli, attivi ormai dal 1999, conferma in pieno quanto di buono era già emerso nelle prove precedenti, e mi riferisco soprattutto a "Saison 8" e al successivo "Le fantastique envol de Dieter Böhm", pubblicati tra il 2018 e il 2020. Due prove maiuscole che hanno stabilizzato e accresciuto la buona reputazione della band transalpina nel circuito del prog-rock odierno, anche fuori dei confini francesi.

Nella classica formazione a cinque, nella quale spiccano ovviamente i due fratelli Claude e Dominique Leonetti ma anche il nuovo chitarrista Arnaud Beyney (già presente nella compilation acustica "Dénudé", 2021), i Lazuli offrono undici tracce inedite che compongono una sequenza raffinata, elegante, con una grazia che risuona a meraviglia nel vibrante canto solista di Dominique, valore aggiunto e punta emergente di un lavoro cesellato a puntino da tutto l'organico, nel quale ha un ruolo essenziale il timbro riconoscibile del "léode", cioè l'ingegnoso strumento a metà tra un sintetizzatore e una chitarra che Claude si è costruito a suo tempo per ovviare a una parziale infermità del braccio sinistro, e che ormai connota il sound del gruppo. In generale, il rock di "11" (oppure "Onze" in lingua madre) continua per fortuna a rifuggire ogni tentazione passatista del progressive settantiano: quindi niente suites estenuanti o forzose oscurità concettuali, ma piuttosto una originale forma-canzone risonante di molteplici influenze, che si modula sulla voce e acquista peso specifico nel crescendo strumentale, fino a una saturazione emotiva che quasi sempre arriva a bersaglio.

C'è naturalmente una bella vena melodica, ma c'è soprattutto, forse più che in passato, una malinconia pervasiva dai diversi colori: intimista e poetica, oppure più torbida di fronte alle storture del mondo, e perfino sottilmente angosciosa, fino al nero assoluto. Una tavolozza di colori e sfumature nella quale molto incidono i testi, che mostrano una mirabile capacità d'introspezione e di empatia sentimentale nel senso migliore del termine ("Triste carnaval", ad esempio). E' proprio qui che rifulge l'estro di Dominque Leonetti, che oltre alla musica firma tutte le liriche: stupenda a mio modo di vedere è "Parlons du temps", sensibile elegia del quotidiano che spisciola via sulle parole di sempre, tra stanchezza e resistenza, con il pianoforte di Romain Thorel e il basso di Beyney degni protagonisti assieme al canto solista. Un gioiello. "Les mots désuets" è invece uno dei brani più raccolti e personali del repertorio, solo per voce e chitarra acustica, con l'intrigante parallelismo tra l'amore per i modi di dire dimenticati e un carattere che soffre i ritmi della modernità. Sul registro più marcatamente rock, e a tratti davvero dark, si segnalano potenti episodi come "Qui d'autre que l'autre", incombente e sinistro incedere sulla chitarra elettrica che drammatizza a dovere il tema, come la voce stessa; e poi "La bétaillère" (cioè "il bestiame") che pone l'accento sul maltrattamento animale, un tema che affiorava anche nei dischi passati. Qui è soprattutto il léode di Claude a sottolineare con note lancinanti il lato più urticante e perfino apocalittico del brano.

Il léode è pure protagonista della traccia d'apertura, "Sillonner des océans de vinyles", trasognata fantasia intorno al fascino incantatorio dei dischi, costruita sulla chitarra acustica e poi sviluppata in maniera avvolgente, quasi orchestrale. Tra gli altri brani, tutti notevoli, cattura poi la scansione in tempi dispari di "Égoïne", con il canto sempre versatile e più che mai protagonista, mentre "Mille rêves hors de leur cage", sul potenziale dei sogni, si articola sul pianoforte e il basso in un moderato crescendo che sfocia nel bellissimo finale sull'organo e la batteria di Vincent Barnavol. L'epilogo invece, e per certi versi l'anima dell'album, è il minimalismo ipnotico di "Le grand vide", giocato s'un motivo circolare che risucchia nei suoi vortici fino alla dissolvenza: un brano di grande fascino, che sembra dimostrare come la malinconia sia uno dei motori principali della scrittura di Dominique, come del resto di ogni creazione artistica non banale. "11", per sintetizzare, è l'ennesimo disco veramente bello e importante dei Lazuli che consiglio come gli altri, anche se stavolta, forse, assimilarlo davvero vi richiederà più tempo: alla fine però sarete felici di averlo scelto.

Valutazione:                  Sito Ufficiale: lazuli-music.com

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